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Sulla fortezza – Meditazione

Meditazione dettata dal B. Francesco Bonifacio il 20.5.1945 alle giovani di Azione Cattolica, festa di Pentecoste

Per questo che i martiri dei primi tempi della Chiesa rispondevano spesso al giudice che chiedeva il loro nome: “Io sono cristiano” Questo era il loro nome e il loro titolo di gloria. Vorrei, scriveva un grande storico che si vedesse in noi la gioia, la fierezza, l’orgoglio, di essere cristiani.

Oh! Come allora sapessimo rispondere a tutte le lusinghe del mondo: Ad majora natus sum! Sono destinato per cose le più alte. Ma chi è veramente cristiano? Risponde il catechismo: Cristiano è Colui che è battezzato, che professa la fede e la dottrina di Gesù Cristo, partecipa ai suoi sacramenti ed obbedisce ai Pastori stabiliti da Lui. Coloro che sono cristiani per il battesimo sono poi tali per la loro vita? Dolorosamente non sempre.

Si legge che un giovane selvaggio era sì fiero di essere cristiano che tornato dopo il battesimo al suo villaggio pagano per distinguersi dagli altri ancora pagani si segnò con la sciabola di suo padre una grande croce sul petto. Per infezione ne morì. Dal letto di agonia diceva al Sacerdote commosso: Padre la croce che tu mi desti era così piccola che nessuno la vedeva, invece da questa così grande tutti sanno che io sono seguace di Gesù Cristo. E spirava come un angelo.

Oggi giorno natalizio della Chiesa, leviamo alta la nostra fronte segnata dall’olio crisma dei forti e dal segno di Cristo ed il nostro cuore più che le labbra canti. Sono cristiano questa è la gloria che mi rallegra, sono cristiano e tale anche voglio morire. Il sacerdote ripete quotidianamente un tratto della lettera di S. Pietro dove sta scritto tra l’altro: Resistete forti nella fede […].

La fortezza consiste nel coraggio nella prova, la calma nel pericolo, la pazienza nelle avversità. Essa richiede due atti: il sopportare e l’intraprendere. Sopportare le lotte, gli assalti, le tentazioni, le avversità, qualsiasi dolore ed intraprendere coraggiosamente a fronte alta la lotta, contro tutti i nemici dell’anima.

Noi non siamo sulla terra per vivere quanto per combattere. L’ha detto lo stesso Giobbe: Militia est vita hominis super terram: la vita dell’uomo sulla terra è un combattimento. Dobbiamo combattere i nostri nemici spirituali, dobbiamo combattere contro tutto ciò che impedisce la salvezza della nostra anima e la salvezza di altre anime. La fortezza nella vita del cristiano però non agisce mai da sola ma suppone, deve essere accompagnata sempre da un certo numero di altre virtù.

Particolarmente suppone la magnanimità, la grandezza d’animo che spinge alle nobili imprese e slancia in tutte le iniziative suggerite dallo zelo. Suppone la confidenza che appoggiandosi in Dio si sente invulnerabile. E’ bellissima la frase: Si Deus nobiscum qui contra nos? Se Dio è con noi chi potrà qualcosa contro di noi? Suppone la pazienza che fa sopportare cristianamente e coraggiosamente tutti i dolori, le croci e le delusioni.

Vuole di più la costanza che rende stabile la volontà, tante volte così volubile.

Di più la fortezza ha le sue radici profonde in una fede robusta, frutto di salde convinzioni, di un cuore che ama Dio ed il prossimo; in una volontà che non ammette sbandamenti, ma la spinta dell’amore che infiamma prosegue imperterrita il suo cammino fino alla meta segnata.

Ora vi sono in voi tutte queste virtù? Vi è la confidenza in Dio e la diffidenza di voi stesse? Vi è la pazienza di fronte alle croci? La costanza nel bene? Siete animate da una fede profonda e spinte da una volontà energica?

La fortezza esclude la timidità che è un misto d’amor proprio e di paura che frena a far il bene per timore di non riuscire e di esser derisi e che di fronte alla difficoltà pianta tutto per non prender nessuna responsabilità. Esclude la vigliaccheria che ha paura dello sforzo, che si ferma di fronte al più piccolo ostacolo. Esclude il vile rispetto umano, terribile ed infettiva malattia delle anime nelle quali uccide la fede, e l’amore. Non vi sono tante vittime quante ne fa il rispetto umano. Ricordatevi che quando si ha l’onore di essere cristiani si deve anche essere orgogliosi di esserlo e quando si ha l’onore di appartenere alla grande famiglia della Gioventù Femminile di Azione Cattolica si deve avere il coraggio di dimostrarlo in qualsiasi circostanza e non forse soltanto nelle adunanze.

Esclude ancora la pusillanimità ossia piccolezza d’animo per cui ci si crede incapaci di tutto e non si ha il coraggio di fare niente come se tutto dovesse dipendere da noi. Via dalla vostra vita queste quattro piaghe e via anche subito perché la Chiesa ha bisogno di anime forti, di anime che conoscano il loro dovere dell’ora che è quello di vivere una completa vita cristiana senza nessuna pausa.

Come acquistare questa grande virtù della fortezza? Prima di tutto vivendo in una sincera convinzione della vostra debolezza, delle vostre miserie, delle vostre colpe che vi slancerà ad offrirvi strumenti ciechi nelle mani dell’Artefice divino.

Evitate tutto ciò che snerva ossia qualsiasi comodità della vita. Nella vostra giornata abituatevi ad un orario che vi sia di guida e di antidoto contro qualsiasi tentazione di trattare bene il vostro corpo. Evitate qualsiasi soddisfazione e se qualche volta il Signore ve ne favorisce qualcuna offritela a Lui. Evitate la pigrizia che è la madre di tutti i vizi ma specialmente dell’impurità. Abituatevi a vincervi anche nelle piccole cose. Ecco la ragione dei fioretti. Esercizio della volontà in cose lecite per fortificarla, contro le cose illecite.

Fate letture fortificanti dove sia presentato l’esempio di qualche giovane forte, il fatto di qualche grande sacrificio fatto per amore di Cristo e delle anime. Ma in modo particolare frequentate l’Eucarestia. Non vi è forse predica o esortazione che non finisca con questo consiglio: Comunicatevi spesso e bene. S. Tommaso ha scritto che l’Eucarestia muove agli atti. S. Agostino ha fatto dire a Gesù in un colloquio: Io sono il cibo delle anime forti, anime grandi: mangiami e sarai forte.

Esame di coscienza.

Due semplici e importanti rilievi dal Vangelo odierno. Prima di tutto: Dio solo sia lo scopo supremo della nostra vita e poi fidiamoci nella Divina Provvidenza.

Si sa che base di ogni bene è la vita. E chi ce l’ha donata? Il bambino che conosce le prime pagine del Catechismo vi sa rispondere: ci ha creato Iddio. Egli ancora oltre che crearci ci conserva non solo indirettamente in quanto ci provvede del necessario per la vita ma anche direttamente sorreggendoci con la sua infinita virtù. S. Paolo esclama: In ipsi vivimus, movemus et sumus. In Lui viviamo, ci muoviamo e siamo. Apparteniamo a Dio

Ma facciamoci una domanda: Perché Dio ci ha creati? Dio certamente si è proposto un fine degno di Lui e corrispondente alle ispirazioni del cuore umano. Ora questa aspirazione è il desiderio della felicità. La cerca il bambino nei suoi giochi, la cerca il giovane nei divertimenti della sua età, la cerca l’uomo maturo negli affari, la cerca persino il vecchio che dice: datemi un po’ di gioie, di pace in questi miei ultimi giorni.

Eppure i più sono senza felicità. Perché? Perché la cercano dove non la si può trovare.

Quanti la cercano nelle ricchezze mentre dice S. Bernardo che le ricchezze si guadagnano con fatica, si conservano con timore e si perdono con dolore.

Quanti la cercano negli onori e la Sacra Scrittura definisce l’onore: un fumo che subito scompare.

Quanti lo cercano nei piaceri della vita che lasciano, quando sono pericolosi o peccaminosi, la bocca amara, il rimorso nel cuore. Invece mira giusto nel segno che segue la dottrina di S. Agostino che dice:

Inquietum est cor nostrum: Il nostro cuore è inquieto finché non riposa in te, o Dio.

Dio e Dio solo è lo scopo della nostra vita e perciò anche il centro della vera felicità. In secondo luogo abbiamo una grande fiducia nella Divina Provvidenza. Gesù ha detto: Il vostro Padre sa ciò di cui avete bisogno. Sì ricordiamoci sempre che Dio ci è Padre e come tale tutto dispone per il nostro bene. Fidiamoci di Lui e basta.

E’ un bellissimo proverbio quello che dice: Non cade foglia che Dio non voglia. Fidiamoci di Lui, ripeto e sia che ci troviamo nella gioia come nel dolore adoriamo sempre i disegni della Divina Provvidenza.

Anche se certe volte il cuore sanguina ravviviamo la nostra fede e come il bimbo fa con la mamma buttiamoci fra le braccia di Cristo e diciamogli con gli Apostoli: Noi crediamo al Tuo amore.

Quando moriremo? Forse oggi, domani, questa settimana, questo mese, quest’anno. Forse anche fra 10, 20, 30, 50, 70 anni? Quando? Ignoriamo. Come moriremo? In stato di grazia o di peccato? Ignoriamo. Gesù però ci avverte di essere vigilanti. Verrò, Egli dice, come un ladro, tenetevi pronti. Dove moriremo? A letto, per strada, in un campo, in un bosco, in una piazza?

Ora come rispondere a tanti interrogativi? Se vogliamo che la morte non ci capiti improvvisa, imprevista procuriamo di morire ogni giorno a noi stessi. Il fatto che noi moriamo ogni giorno e che ogni minuto che passa noi ci avviciniamo all’eternità deve tenerci ben vigilanti e pronti.

Prepariamoci alla morte e come? Credendo alla morte o piuttosto vivendo come condannati a morte. Morendo a poco a poco a tutto ciò che dovremo un giorno lasciare sulla terra. Preparandoci tutte le sere alla morte con un semplice atto di contrizione ben detto.

Ringraziando Iddio che non ci ha inflitto la morte quando in quel giorno, in quel luogo, in quell’ora la nostra anima era in peccato mortale oppure in un’occasione prossima volontaria di peccato.

Domandando la grazia della perseveranza finale che è la grazia prima per importanza.

Procurando la salvezza di altre anime. S. Agostino ha detto: Animam salvasti

Nutrendo una speciale devozione alla nostra Madre Celeste.

Accostandoci spesso alla S. Comunione perché l’Ostia mette in noi il seme dell’immortalità. Chi mangia di questa carne vivrà in eterno.

Volete sapere quale sarà la vostra morte? Esaminate la vostra vita.

(questo brano, è stato approvato dalla Sacra Congregazione per il Culto Divino ed è stato inserito nell’Ufficio delle Letture – come seconda lettura – del giorno della memoria liturgica del Beato Bonifacio)